NEW YORK – Sul volo tra Roma e New York, in un angolo della business class di Ita. C’è anche un libro di Ian Kershaw, “Scelte fatali”. Stabilirono il destino del mondo tra il maggio del 1940 e il dicembre 1941. Comunque troppo tardi per evitare la seconda guerra mondiale, a causa dell’eccessiva timidezza verso Hitler.
Ministro Antonio Tajani, l’Italia non sarà troppo timida sulle armi a Kiev? E non sarà a causa di Salvini, che va da Orbán e vi costringe alla prudenza?
«La nostra linea non cambia. Salvini non ha mai votato contro la posizione del governo. Forza Italia si è solo opposta all’emendamento sulla fine di ogni restrizione nell’utilizzo delle armi in territorio russo. Orbán è presidente di turno dell’Unione e Salvini era lì per il consiglio dei ministri dei Trasporti. In ogni caso, la politica estera la fanno il premier e il ministro degli Esteri. Meloni ed io».
Ci torniamo tra un po’. Parliamo prima di Forza Italia, della stabilità del governo, di Marina Berlusconi e Mario Draghi.
«Ecco, bene: perché pensate sempre che Marina dica a Forza Italia “fai così, fai colà”? Non è vero, non ci chiedono mai niente. Il padre era capo del partito, loro sono imprenditori amici che ci sostengono. E voi un giorno a scrivere “Marina disistima Tajani”, un altro “ecco come lavorano per cacciare Meloni e mettere Draghi”… Non è così. E io non sono uno strumento nelle mani di nessuno».
Sugli extraprofitti alle banche ascoltate la sensibilità dei Berlusconi, però.
«Noi siamo contrarissimi a tasse imposte dall’alto. Se poi si trova un modo, concordato con le banche, per aiutare le casse dello Stato, va bene. Una tassa rischia di far fallire le banche di credito cooperativo e popolare, vanno difese».
Prelievo una tantum?
«No. Un contributo che permetta maggiori entrate, ad esempio non pretendendo alcuni pagamenti. Può essere legato alla liquidità, le banche stanno studiano le ipotesi».
Beate loro. Ai cittadini non si chiede di studiare come contribuire, di solito.
«I cittadini votano e c’è un Parlamento che decide. È nel loro interesse la tenuta del sistema bancario. Se salta, paghiamo tutti».
Tajani, torniamo al punto: non sta interpretando il volere dei Berlusconi?
«Forza Italia non prende la linea da Mediolanum. Io non prendo ordini da loro. Non c’è alcun interesse. È una calunnia infame sostenere che qualunque cosa facciamo, è per i Berlusconi. Non ho una doppia vita, non ho due famiglie, non faccio vacanze di lusso, semmai vado a Fiuggi».
Come sono i rapporti tra lei e Meloni?
«Sempre uguali».
E quelli tra Marina e la premier? Ha visto Mario Draghi prima di Meloni. Cosa sta succedendo?
«Ma scusate, lei fa l’imprenditrice che deve investire. C’è un signore che fa un rapporto sulla competitività, è chiaro che ci parla! Che importa se lo vede prima o dopo? L’avessi fatto io, va bene, ma Marina è un imprenditore, mica il segretario del partito».
Magari lo diventerà?
«Vi fate dei film. Ovviamente se Marina mi dà una idea, io la ascolto. Tra l’altro, siete gli stessi che dicevate che è stata lei a chiedermi lo ius scholae, ma lei parlava dei diritti in generale».
E poi c’era Gianni Letta. L’ha scavalcata non avendola coinvolta?
«Ma Letta fa quel mestiere, è consulente di quell’azienda, uomo Fininvest, non è un iscritto a Forza Italia. Tiene distante il business dal partito. È un caro amico che mi dà spesso ottimi consigli».
Con Silvio Berlusconi Letta era centrale anche per la politica.
«Ma adesso la situazione è diversa. In Forza Italia decidono gli organismi statutari».
Che succede se condannano Salvini? Ripercussioni sul governo?
«Non cambia nulla. Nessuna conseguenza. Mi auguro che possa essere assolto, ma in ogni caso contano le sentenze definitive. Poi mi faccia dire che non trovo fondamento giuridico nell’accusa dei pm, finalizzata a ribaltare una scelta politica».
Se una scelta politica coincide con un reato, è un reato, non le pare?
«Certo. Ma qui non è che c’è stato un reato».
Insomma, non mollerete Salvini neanche se condannato.
«Non è questione di simpatia o amicizia verso Salvini. È un fatto politico. E tutto questo dimostra che serve una riforma della giustizia in tempi rapidi».
Non è che tutto questo movimento di ministri porterà a un rimpasto?
«Per carità, nessun rimpasto. Serve quando c’è una crisi politica».
Intanto grandi manovre al centro, Tajani. Carfagna e Gelmini passano con Lupi. Deluso? O non le avete volute voi?
«Non sono deluso, perché dovrei? Mai fatta nessuna trattativa. Ben vengano nel centrodestra. E in Forza Italia ci saranno altri arrivi».
C’è polemica per l’ipotesi di un’assicurazione obbligatoria sulla casa per danni da calamità. FI cosa dice?
«Per noi deve essere facoltativa e non obbligatoria».
Torniamo al mancato via libera all’utilizzo di armi in territorio russo. Ministro, il no è solo di Roma e di Orbán, non le crea imbarazzo?
«Noi abbiamo solo votato contro la possibilità di rimuovere qualsiasi limite. Non è che possiamo bombardare Mosca, per intenderci. A dire il vero, non lo accettano per adesso neanche gli Stati Uniti. Ma la nostra linea non cambia. E gli ucraini usano armi di loro fabbricazione».
Sembrate timidi.
«Abbiamo mandato nove pacchetti. Zelensky ci chiede i Samp-T, noi glielo forniamo».
Il governo precedente sembrava con Kiev “senza se e senza ma”, voi no?
«Non è così! Ero a Parigi per la riunione del “quintetto”, tutti vogliono la pace, Zelensky ha presentato il piano. Dobbiamo fare opposizione da destra a Zelensky?».
La diplomazia non sta fallendo? Lei vede una finestra da oggi alle presidenziali Usa per la pace?
«Non sta fallendo, dirlo è troppo tranchant… In America si vota tra due mesi, il tempo è poco, ma in generale vedo uno spazio per una conferenza di pace e per qualche passo avanti».
Trump o Harris?
«Siamo neutrali. Sarebbe suicida una posizione diversa».
Di Harris cosa dice?
«Non è della sinistra dei democratici, è l’ala moderata. Avete visto la dichiarazione sulla pistola?».
E di Trump? Non sarebbe destabilizzante?
«Ricordiamo quello di dieci anni fa, ma sono successe un po’ di cose. Ha cambiato alcune posizioni, ad esempio sull’aborto».
Non è cambiato come ha gestito l’assalto a Capitol Hill.
«Non era presidente. O meglio, lo era, ma in uscita».
Al posto di Meloni si sarebbe fatto premiare da Musk? Non è stata avventata, per strizzare l’occhio a Trump?
«Musk l’ho incontrato anche io. Ognuno sceglie chi vuole, ma dico mi sembra una scelta più imprenditoriale che politica. Non è finalizzata a Trump, ma al leader di un colosso industriale».