NEW YORK – A 28 mila piedi di altezza, su un volo Ita Airways diretto a New York, il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani risponde alle domande dei giornalisti italiani inviati all’Assemblea generale dell’Onu. Il leader di Forza Italia apre a un contributo delle banche per risanare i conti dello Stato e chiarisce i rapporti con Meloni, Salvini e Marina Berlusconi: «Non sono strumento nelle mani di nessuno».
Quanto la preoccupa la continua fibrillazione nel governo, di cui anche lei è spesso protagonista?
«Se la tensione interna è dire che noi siamo contro la tassa sugli extraprofitti non è tensione. E non casca il governo se io faccio una proposta sullo ius scholae o scrivo a Calderoli sull’Autonomia. Il governo è stabile».
Stabile anche se Salvini sarà condannato per Open Arms?
«Nessuna ripercussione, non cambia nulla. E mi auguro che sarà assolto. Le condanne che contano sono quelle definitive. Io poi non trovo il fondamento giuridico dell’accusa dei pm, mi pare più una accusa finalizzata a ribaltare una posizione politica. Quella decisione sui migranti la prese l’intero governo Conte e non è possibile che il premier non ne sapesse nulla».
Lei e Meloni non mollerete Salvini al suo destino?
«Non è questione di simpatia o amicizia. È un fatto politico, che conferma la necessità di un riforma della Giustizia in tempi rapidi».
Non si fida della magistratura?
«Io parlo dei pm, non sto sfiduciando la magistratura. Siamo una repubblica democratica, sei condannato in terzo grado».
Volete che i ministri abbiano un ombrello politico che copra eventuali reati?
«No, certo, ma non è stato deportato nessuno e i migranti raccolti in mare non possono essere condotti tutti in Italia. Fortunatamente gli sbarchi sono diminuiti del 60% grazie al governo».
Il governo si spacca sull’assicurazione contro le calamità. La Lega è contraria e lei?
«Per le famiglie deve essere facoltativa, non obbligatoria. Per le imprese è già in vigore dalla scorsa legge di Bilancio».
Si è deciso a tassare gli extra profitti delle banche?
«Noi abbiamo sempre detto no alle tasse imposte dall’alto. Se poi si può concordare con le banche affinché diano un aiuto, un contributo alle casse dello Stato, è un’altra cosa. Una tassa generalizzata finirebbe per colpire le banche popolari e di credito cooperativo, che erogano prestiti ai cittadini e vanno difese».
Il sospetto è che lo facciate per difendere Mediolanum.
«FI non prende una lira da Mediolanum, è una calunnia infame. Io non ho interessi e non prendo ordini da una banca, non faccio vacanze di lusso, vado a Fiuggi, non ho una doppia vita, né doppie famiglie».
Se non è una tassa, che cos’è?
«Non ho in mente un prelievo una tantum, le banche stanno studiando soluzioni tecniche che permettano di mettere più fondi nelle casse dello Stato, ad esempio non pretendendo alcuni pagamenti».
Gelmini e Carfagna lasciano Calenda ma non tornano da lei, è deluso o sollevato? Ed è vero che non le ha volute?
«Perché dovrei essere deluso? Non abbiamo fatto nessuna trattativa. Vengono nel centrodestra, è un bene se vanno con Lupi».
Un bene? Non è arrabbiato?
«No! Con Lupi faremo la lista in Emilia-Romagna».
Non le dà fastidio che la premier spinga per rafforzare un partitino più filo-meloniano del suo, com’è Noi moderati?
«Non sono preoccupato degli altri, vado avanti per la mia strada. Forza Italia è all’11% nei sondaggi e ci saranno altri ingressi».
Come sono i suoi rapporti con la premier? Sempre tesi?
«Sempre uguali».
E con Marina Berlusconi, che ha dovuto smentire di non avere grande stima di lei?
«Io tutto sono tranne che uno strumento nelle mani di qualcuno. Una volta scrivete che Marina mi disistima, un’altra che sta per cacciarmi, poi che mi dice “togliamo Meloni e mettiamo Draghi”. Non è vero. Il padre era capo partito, loro non ci chiedono mai niente. Se Marina fa un’intervista sui diritti è per dire quello che pensa, non per darmi la linea. I figli di Berlusconi sono imprenditori amici che ci sostengono».
Marina ha visto Draghi prima di Meloni, che non ha gradito. E lei, è stato scavalcato dalla mediazione di Letta?
«Gianni Letta è uomo Fininvest, non è iscritto a FI e tiene distinto business e partito. È un buon amico che mi dà spesso ottimi consigli. Marina fa l’imprenditrice, incontra chi le pare. Se c’è un signore che fa un rapporto sulla competitività lei ci parla. E non cambia se lo incontra prima o dopo la premier».
Né Marina né Pier Silvio saranno mai segretari di FI?
«È un film che i giornalisti si raccontano tra di loro».
Per Fitto e Santanché ci sarà il rimpasto?
«Per carità! I rimpasti servono quando ci sono crisi politiche».
Fa discutere la scelta di Meloni di farsi premiare da Musk all’Atlantic Council. È una strizzata d’occhio a Trump?
«Musk è un grande imprenditore, anch’io l’ho incontrato in Italia. Credo che la scelta di Meloni sia più imprenditoriale che politica, non finalizzata a Trump. Ci sono simpatie, chiaro, ma il governo è neutrale sulla campagna americana. Abbiamo lavorato sempre bene con tutti i presidenti, legare a un candidato il nostro rapporto con gli Usa sarebbe suicida. Ho conosciuto Harris e Trump, ho lavorato bene con Biden e con Blinken».
Le piace Kamala Harris?
«Non è la sinistra dei democratici, è l’ala moderata, basta vedere quel che ha detto sulle armi».
La vittoria di Trump potrebbe destabilizzare l’Europa?
«Bisogna vedere, se e quando sarà presidente. Rispetto al Trump di dieci anni fa, sono cambiate un po’ di cose».
Ha dimenticato l’assalto a Capitol Hill?
«Non era più presidente».
Lo era ancora.
«Era in uscita. E comunque, alcune sue posizioni sono cambiate. Sull’aborto, ad esempio».
All’Onu lei e Meloni porterete una linea più cauta sul sostegno all’Ucraina?
«La nostra linea non cambia, il voto sulla risoluzione al Parlamento Ue non ha effetto giuridico. Anche gli americani non hanno dato il via libera all’uso delle armi occidentali in Russia. Invieremo il nono pacchetto di aiuti militari con i missili SampT, ma non possiamo avallare che Kiev bombardi Mosca. E Zelensky non si è mai lamentato».
Il governo è spaccato sulla politica estera, prova ne sia la Lega di Salvini che non ha votato per sostenere Zelensky.
«Al Parlamento italiano la Lega non ha mai votato contro la posizione del governo».
E cosa dice di Salvini che va da Orbán, alleato di Putin?
«La politica estera la fanno il premier e il ministro degli Esteri. Orbán ha la presidenza di turno della Ue e l’Ungheria non può essere delegittimata perché non si condividono le scelte del suo governo».
Ammetta che siete più prudenti nel sostegno Kiev.
«Non abbiamo mai cambiato posizione. Tutti vogliono la pace, anche gli Usa. Zelensky vuole la conferenza di pace della Russia e certo noi non possiamo posizionarci più a destra di Zelensky. Io non sono un guerrafondaio».
Vede spiragli di pace, da qui alle elezioni Usa?
«Due mesi sono un tempo troppo breve, ma vedo spazio per qualche passo avanti. Aver voglia di pace non significa scaricare l’Ucraina, anzi».
Se vincesse Trump, potrebbe avvicinarsi una pace più favorevole a Putin?
«Non cambierebbero le cose. Vediamo cosa farà Trump. Bisogna sempre aspettare il risultato delle elezioni».